martes, 23 de septiembre de 2014

Bella y lisonjera


 

— ¡María Esther! ¡Maria Esther! ¿Dónde está? —gritó Gertrudis llamando a su hija.
— Aquí en la galería señora.
—Mañana será  la encargada de recibir al delegado del gobierno nacional. Ya sabe, los latifundios pertenecen a la nación. Es muy importante su visita. Le doy unos pocos detalles: se llama Zabaleta Oruè,  es  artista plástico, de sesenta años, soltero.  Y no se olvide, ponga en práctica toda su diplomacia y buen ánimo. Que para esto fue educada. 
 
 Cuando el invitado   arribó a la estancia,  Maria Esther  lo acompañó a recorrer La Hacienda, prestigiosa y  a su vez  considerada una parada obligada para conocer las buenas carnes y disfrutar de la exquisita  comida típica. Eran las veinte horas de un día estival con cielo límpido, azul noche con tonalidades  naranjas. Arribaba el ocaso del día. La luminosidad lunar  asomaba flotando en la infinitud.
Zabaleta Orué   dejó pasar a Maria Esther delante de él; ella con diligencia abrió el portón que los conducía al jardín de verano. Lo llamaban así porque allí  cultivaban: los frutos,  las flores, más delicados traídos de otras partes del mundo  que necesitaban un microclima menos cruel.
Sin que se percataran, conversando sobre las especies y el perfume de la flor de coco,  renació la noche, mientras  las estrellas resplandecían en su rubicundez. Chan,  la servidora,  los alcanzó  jadeante por la corrida.
 

lunes, 15 de septiembre de 2014

Una casa e due candelabri. Romanzo


Una casa e due candelabri

 Prima parte del capitolo IV.

Il treno parte con pochi passeggeri; mi siedo vicina ad una signora che si reca anche lei a Varazze. La mattina è calda; sono le undici e venti. L’aria condizionata non funziona, i finestrini sono aperti e il vento soave e fresco mi carezza il volto.

Quando si ferma nelle stazioni la gente parla a bassa voce come se avesse paura di essere sentita incece, mentre il treno riprende il suo percorso il mormorio è più forte. Sarà per il rumore del  ferro sui binari? Mi piace viaggiare e quando il movimento avviene mi addormento. Ogni tanto tutto è buio, le gallerie fanno sentire la notte su di me. Qualche minuto dopo la luce invade la carrozza e tutto torna luminoso. Alla sinistra il mare Ligure, calmo ed azzurro. Alla destra le colline verdi con una profusione di diversi fiori. Le case sembra che pendano dai monti. Come saranno state costruite queste ville bagnate dal sole?

L’estate mi fa rivivere; tutto prende forma ed il mio spirito  diventa gioioso. Nell’ inverno, invece, la mia pelle è verdastra e gialla. Oggi in quest’estate marina posso vedere il mio volto abbronzato e la mia pelle ha più vigore.

Ieri Marietta è stata inquieta. Mi guardava con i suoi occhi inquisitori. Lei credeva che fossi venuta a  toglierle le cose che considerava proprie per diritto, cose che sencodo lei le appartengono. Non è così!

Durante la notte, ogni  volta che mi alzavo per andare in bagno, tardi, molto tardi lei faceva lo stesso. Temeva che io rovistassi nell’armadio che c’è in bagno. Quando uscivo lei entrava a controllare che non avessi portato via nessuna cosa.

Una statua di marmo bianco che funge da porta sapone custodisce il luogo. Gli asciugamani profumati con esenza di lavanda sono disposti in modo ordinato. Tra altri oggetti ci sono: botticini con un po’ di profumo e flaconi antichi. Ci sono anche candele profumate nei loro involucri. Tutti questi oggetti sono di origine austriaca perché mia zia andava sempre a Vienna per acquistare questi prodotti così come per la biancheria. Lei considerava che erano tutti di qualità migliore rispetto a quelli italiani.

In una delle prime serate che ho trascorso qui ho sentito Marietta chiacchierare con la donna che viene a fare le pulizie; parlavano di me e lo facevano usando un apellativo dispettoso: l’argentinuzza. Credo che significhi qualcosa come di bassa condizione sociale. Dovrei chiamarla l’italianuzza? Non so da dove ha preso quella parola. Non so a chi domandare che cosa significa perché, sebbene l’avvocato sia molto corretto, con me, mantiene le distanze. Viene tutti i giorni per chiedermi che cosa mi occorre. O chissà venga per controllarmi?

La prossima settimana verrà il notaio. Così si dice escribano; faranno tutto l’inventario dei mobili. Non vorrei essere presente perché mi ricorderà análoga situazione alla quale ho dovuto  partecipare, però accetto perché è la volontà della zia.

È vietato rivisionare gli armadi e i cassetti di tutta la casa. Questo l’ha lasciato scritto la zia nel testamento... Genova Nervi annuncia l’altoparlante… guardo verso il mare ed è calmo e intenso... Genova Quinto. Il giardino della casa è sul terrazzo che è stato ricavato dalla collina. Ricordo che quando le mie zie vivevano, di sera ci sedevamo lì a parlare. In quel tempo la brezza accarezzava i miei capelli e intiepidiva le mie braccia e le mie spalle.

Fa caldo caldo... Genova Brignole, mancano sessanta minuti per arrivare a Varazze. Il treno si è fermato. Non so perché. I passaggeri parlano, si domandano che cosa sucede. I cellulari suonano. Posso ascoltare le loro conversazioni, capisco perfettamente quello che dicono.

È un treno Regionale e perciò ferma in tutte le stazioni ed è lento nel riprendere la marcia. Non c’è l’aria condizionata; sarà perché viaggio in seconda clase? Attenzione treno in transito al binario tre, allontanarsi dalla linea gialla.  Un altro convoglio passa con velocità e sentiamo le vibrazioni.

Una signora sulla sessantina viaggia accanto a me, porta dei gioielli: un braccialetto ed un orologio d’oro. Scrive sull’Ipad. I suoi piedi sottili portano sandali che evidenziano dei fiori esotici di colore d’oro. Posso affermare che è molto ellegante. Il treno riprende la marcia, tutti tacciono. I viaggiatori si sentono rilassati; credo che a tutti quelli che viaggiamo il movimiento ci rilassa perché il ritmo è come una melodia. Se vale questo paragone.

Ieri nella cucina e dopo aver pranzato ricordo che Marietta ha controllato i cassetti dove sono le posate. Lei sa quanti sono quelle che si usano tutti i giorni; grandi e pesanti, d’argento inglese Shefield. Penserà che possa mancarne uno? Non lo so. Lei ha il vantaggio di conoscere tutti i segreti della casa. Non invano ha lavorato durante gli ultimi trent’anni della sua vita con mia zia e a questa casa la considera di sua proprietà.

 

Traduzione: Pilar Zenklusen

 

viernes, 5 de septiembre de 2014

Sólido. Polvo; Aire


XXV

 

En la caminata obscura y

sigilosa

partí  

con el carruaje pleno de azucenas.

 

                                                Las flores acompañaron

                                                el peregrinaje.

 

El doliente yacía esperanzado.

 

 

Lo arrojé

a esa aventura

con mis pasos.

Turbados.

 

                                               El partió.

 

                                               Muere. Muerto.

                                               Muere.

                                               Allá hay otra vida.

 Yo aún sigo aquí.

 

Sólido. Polvo; Aire


XXIII

Misterios anidaban

en las mortecinas

luces del jazmín.

 

Dolor,

 y más dolor,

en las siestas norteñas.

 

La madreselva

en su huida

enroscó las vidas

con el hilo enlutado.

 

Dolor,

y más dolor,

en los ojos del padre,

espantado y cansino de la muerte temprana.

 

lunes, 1 de septiembre de 2014

La mesa suspendida


 
 
           Era una reunión pequeña en una sala angosta, se bebía a granel y las luces titilaban en modo sugerente a la vista de los bebedores de la mesa cuatro. El mantel a lunares emitió movimientos circulares, el último lunar saltó de la cuadratura de la mesa y relató la historia de sus compañeras.

             Ellas no se ocupaban de nada, solo cantaban y reían como cíngaras en noche de amarantos con plumas de luces de colores, y nadaban como si fueran  los cálculos de los azores ventosos, en las mañanas en que la tierra dormía ensimismada sobre catres descubiertos. 

             Entonces, otro lunar cobró más ánimo y aleteó sin parar hasta  entrar en compulsiones.  Las nubes perdieron polvo y  se despistaron hacia la negrura de las olas de las mentes y las doncellas coincidieron en abandonar su cualidad.

              Bien habían dicho que no era garantía de felicidad aquella promesa  que recibieron las doncellas en la tarde que veían acercarse a las  damas y comieron hasta hartarse de las nuevas y malas noticias que relataban los lunares. Encerradas  en la vía que anudaba la ruta,  los nudos de la historia se convirtieron en   manojos que cabían en un puño.

               Las doncellas decidieron continuar divagando en la superficie de  la mesa cuatro, mientras los bebedores discutían sobre el valor que adquieren los recuerdos, cuando ya se han perdido los años en los  intentos por seguir obteniendo experiencias.

               Los lunares se trepaban a los vasos en modo risueño, haciendo malabares. En forma repentina y sin atino, uno de ellos cayó en el vaso del más viejo de los bebedores y conoció subrepticiamente sus secretos. Este había retenido para si la historia que celosamente fue resguardada por los muros de la Villa milenaria.

            Inesperadamente  relató, con su voz raspada y amarga por el alcohol,  como vivían los moradores de ese palacio con grandes balcones que asomaban como cornisas  al Mare Ligure. Y ya en el año 1640, sus amos acogían a los viajeros que tomaban el camino hacia el norte del golfo.

                 Iluminadas por el sol, en las mañanas calurosas, sus terrazas vieron el tiempo en el cual el césped verde como alfombra mullida y mórbida, participó del esplendor de los banquetes, donde las mesas ofrecían manjares. Deliciosas frutas traídas por sus amos de sus viajes a Oriente; ellos, como buenos mercaderes,  tenían bien sabido que  lo exótico de los frutos estaba en sus colores deslumbrantes  que  ornamentaban las mesas de los invitados.

               El lunar curioso por la realidad que se contaba decidió dar un paseo por la Villa y comprobar cuánto permanecía de aquella maravillosa  historia, pero las rayas paralelas  del mantel de la mesa cuatro se lo impidieron ya que su existencia no le permitiría comprobar lo que pretendía averiguar. Las líneas, cuatro en total, decidieron narrarle las vidas pasadas de sus moradores. 

             A la verdad le  relataron que,  en el vendaval de una noche, franquearon las puertas de la
 
construcción  —esta en sus inicios había sido una abadía—,  y  allí se escuchaba acercarse y alejarse
 
los ecos incesantes de los llantos;  los gritos de las almas condenadas al infierno y   de los que habían
 
muerto en modo inesperado. Con nervioso apuro, en su paseo, jugaron a un juego confuso e
 
incierto, a una pasión desatada e impúdica con las doncellas que ya se habían convertido en
 
fantasmas y recorrían los jardines aterrazados bajo la lluvia que diluyó: el paisaje, las flores, las
 
arboledas y el estanque.

            El agua del marjal, ya seco, dejó un surco vacío en su lecho para una postrera expresión de su existencia. Ubicado en la entrada de la iglesia de la abadía custodiaba al acrolito, una estatua con manos, pies,  cabeza de piedra y con el torso de madera vestido con sugerentes tejidos algodonados, traídos del Oriente.

               Con la llegada del verano una luz roja encendió y abrazó todo el jardín inundando los días de calor; el bebedor de la mesa cuatro, sin embargo, continuaba relatando a sus oidores, mientras el vino dorado  entibiaba su voz y el color rojo asomaba por sus mejillas hasta las sienes. Su historia fue muy diferente, ya que  era posterior en el tiempo y los mercaderes habían ya convertido a la abadía en una Villa donde se tiraban a los placeres mundanos y pecaminosos.

                El estanque llegó a ser fuente  desgarrada y deshilaba una  pesada hebra de agua clara. Vecina a ella se instalaban los amos, en sus poltronas, a relatar sus proezas en los mercados lejanos,  donde el aire se inundaba con los perfumes de las especias más exóticas. En sus fábulas no faltaban las proezas de su oficio, ya que exploraban minuciosamente las tierras conquistadas, y con gestos mezquinos por la avaricia trepidaban con fuerza los músculos de sus rostros mientras  negociaban y tomaban ventaja.

              Segundo a segundo, en modo apremiante, el bebedor siguió su relato con la sensación de ahogarse.  Así decidió interrumpir su fábula esgrimiendo experimentar olas de violencia interior, ya que eran secretos bien custodiados por  los antiguos moradores.

Su deseo fue no azuzar a los fantasmas  por temor a ser objeto caprichoso de las maldiciones que se repetían en períodos cíclicos,  sobre aquellos que intentaban relatar la historia que por siglos fue resguardada por los muros de la Villa. Todos se sumieron en un silencio enervante y enloquecedor.

           
 
            Andrea Doria se despertó del sueño, había viajado a Génova impulsado por conocer a sus

ancestros. Una novela de Augusto Roa Bastos, Madama Sui, lo sorprendió al encontrar en un

personaje genovés su mismo nombre y apellido. Y este hallazgo le permitió ahondar en su pasado,

del que no tenía registro, pues había quedado huérfano a los doce años. Y  lo decidió a viajar.

 
          El sueño lo asaltó una mañana de verano en un hostel de la Vía XX de Settembre, en la

mansarda de un edificio. El empleado de la noche, al llegar, le comentó que  la construcción

pertenencia al año 1200 y correspondía con la época de la Repubblica di Génova. Y que el primer

Dogge había sido Andrea Doria, a la sazón un ancestro suyo.

            Apuró un desayuno con un café y un brioche y salió con la decisión de llegar hasta el Palazzo de los Doria, y se perdió por la Vía Nuova, por la Vía Garibaldi. Sin un rumbo se dejó tomar por las calles de esta ciudad que  en tiempos lejanos fue la reina del Mediterráneo. A cada paso encontraba una historia y los nombres de la calles le recordaban sonidos y fonéticas  aunque nunca habló el dialecto, pero se descubrió reconociendo palabras y  sabores. Perplejo ahondó en sus pensamientos y no recordó más que a vecinos y  allegados que poco le había contado sobre sus padres.  

            Por azar escuchó, antes de emprender el viaje, que todos los humanos tienen una memoria que no se vincula con los acontecimientos pasados, sino con la genética. Y que por tanto sus recuerdos y sus ansias de conocer aquello que siente que lo identifica con un lugar tan lejano es sólo la memoria heredada, algo que le fue dado y que imprime sus recuerdos de olores conocidos y familiares, de gustos y alimentos que jamás ha probado, pero que su paladar reconoce fielmente.

             Y estos pensamientos y el sueño lo reconfortaron, se sintió pleno de familiaridad por primera vez en su vida: hoy  cumple cuarenta y cinco años. Y el sentido de pertenencia se apoderó de él. Y mientras llegaba hasta el puerto de Génova y recorría los carruggio se juraba que se quedaría a vivir en la ciudad.

            Andrea Doria, llegó a la conclusión final de que estaba viviendo la consecuencia de otra vida, y que todo tiene un orden secuencial y analógico. Él es el Dogge y es este hombre que fue a recobrar su legado.